L'accordo sui dazi lascia scontenta metà Europa: "Ingiusto e sbilanciato, ci si è piegati a Trump"

L'accordo Ue-Usa sui dazi si porta dietro uno strascico di polemiche e insoddisfazione. Perché, a detta di alcuni, non soddisfa. Anzi, umilia, soprattutto al di qua dell’Atlantico, in Europa. All'indomani dell'intesa raggiunta da Donald Trump e Ursula von der Leyen, annunciata in Scozia domenica scorsa - che prevede un’aliquota unica del 15% sulle esportazioni del Vecchio Continente negli Stati Uniti, con alcune eccezioni -, emerge il malcontento di alcuni Stati membri. Che l’accordo sia “sbilanciato” a favore della parte americana, lo si sottolinea anche negli Usa: il Financial Times ha parlato di “resa” dell’Unione, il New York Times si è spinto a dire che il patto commerciale ha dato “a Trump molto di quello che voleva” (e, indirettamente, senza concedere a Bruxelles soddisfacenti contropartite).
Ovviamente, a Palazzo Berlaymont si è gareggiato nel difendere il risultato ottenuto: “Questo è chiaramente il miglior accordo che potessimo avere in circostanze molto difficili”, ha evidenziato il protagonista della trattativa con Washington, il commissario al Commercio, Maros Sefcovic, ribadendo quanto detto dalla presidente della Commissione in Scozia. “Una guerra commerciale può sembrare allettante ad alcuni, ma comporta gravi conseguenze: con un dazio di almeno il 30%, il nostro commercio transatlantico si sarebbe di fatto interrotto” ha aggiunto.
Per consolarsi, quindi, si guarda il “bicchiere mezzo pieno” e si ricorda che, in assenza di accordo, lo scenario e le condizioni imposte sarebbero state peggiori, con l’apertura di una vera e propria guerra di tariffe tra Europa e America. Ma c’è chi parla di “appeasement commerciale”: una consistente parte di Paesi, dalla Francia alla Spagna, persino l’Ungheria, con motivazioni politiche diverse, spara a palle incatenate contro i palazzi della Commissione, mirando dritto a Ursula. Dura la reazione di Parigi, con il premier François Bayrou che parla di “giorno buio” in cui “un'alleanza di popoli liberi, uniti per affermare i propri valori e difendere i propri interessi, decide di sottomettersi”. Da Budapest, Viktor Orban sintetizza brutalmente: “Donald Trump ha mangiato Von der Leyen a colazione” e “sarà difficile spacciare questo accordo per un successo”, taglia corto il leader magiaro.
“Appoggio l'accordo commerciale ma senza entusiasmo” dice il premier spagnolo Pedro Sanchez. “Insoddisfatto” si dice il cancelliere tedesco, Friedrich Merz: “L'economia tedesca subirà un danno considerevole” afferma il capo del governo di Berlino (anche se, si fa notare, sono proprio i maggiori esportatori europei verso gli Usa, Germania e Italia, a salutare con una nota più tendente all’ottimismo che al pessimismo la stretta di mano tra Trump e Von der Leyen). Secondo Giorgia Meloni “bisognerà studiare i dettagli dell'accordo e lavorare ancora perché quello che è stato sottoscritto ieri è un accordo giuridicamente non vincolante, di massima, quindi nei dettagli, su alcune cose bisogna ancora andare, quindi c'è ancora da battersi”.
E il campo in cui battersi, già fanno sapere in casa socialista, sarà il Parlamento di Strasburgo, dove l’accordo dovrà essere ratificato. E dove la presidente della Commissione potrebbe trovare non poche insidie nel voto degli eurodeputati. Col rischio di scenario peggiore, che l’accordo venga bocciato, con un’inedita maggioranza, trasversale, tra popolari e socialisti delusi, più Verdi, Sinistra ed ECR. Difficile, improbabile, non impossibile.
“Sebbene un dazio del 15% rappresenti un miglioramento rispetto al 30%, rimane un'imposta ingiustificata e illegale per i consumatori e le imprese europee. E, sebbene apporti un gradito sollievo e una certa prevedibilità alle industrie europee, l'accordo più ampio appare sbilanciato”: scrive in una nota il gruppo socialista. “In questo caso, non vale la pena ingoiare la pillola amara. Questo accordo rende il commercio più costoso e meno attraente. E l'alleggerimento a breve termine avviene a scapito dei nostri interessi economici a lungo termine. Non solo: invia anche un segnale sbagliato. Se cediamo sotto pressione, cosa impedirà a Trump di attaccare la nostra legislazione?” spiega l'eurodeputato dem Brando Benifei, coordinatore S&D nella commissione per il Commercio internazionale e presidente della delegazione del Parlamento UE negli Stati Uniti.
In Italia, tra i più critici è Azione, il partito di Carlo Calenda, che tramite Osvaldo Napoli commenta: “Tace Emmanuel Macron. Per la Spagna, parla la vicepresidente del Consiglio e boccia l’accordo sui dazi. Tace il polacco e popolare Donald Tusk. Dalla Francia è Jordan Bardella, ultimo sovranista, a sconfessare l’accordo che trova umiliante per l’Unione europea (tace Salvini). Gli unici blandi giudizi positivi, pronunciati a denti stretti e per solidarietà alla Von der Leyen, arrivano dal cancelliere tedesco Friedrich Merz e da Giorgia Meloni”.
Il nuovo dazio generalizzato del 15% - che comprende anche le tariffe Mfn, della nazione più favorita, per una media del 4,8% - sarà in vigore dal 1° agosto e riguarda circa il 70% delle esportazioni Ue verso gli Usa, per un valore di circa 380 miliardi di euro. Per la Commissione “questa è la linea, e non andiamo oltre di un centimetro o di un punto percentuale” spiega un funzionario. Diverse le eccezioni, a partire dal settore dell'acciaio e dell'alluminio, attualmente soggetto a un dazio del 50%. L'intesa prevede l'introduzione in futuro di un sistema di quote tariffarie, legate ai livelli storici degli scambi commerciali. “All'interno di queste stiamo valutando le tariffe Mfn. Oltre, avremmo il 50%, ma dobbiamo negoziare i dettagli” chiarisce lo stesso funzionario, che chiede l’anonimato.
Ci sono poi una serie di prodotti strategici che saranno soggetti a ‘dazi zero per zero’, tra cui aeromobili e relativi componenti, macchinari per semiconduttori e alcuni prodotti agricoli non sensibili, come frutta con guscio, prodotti ittici trasformati e cibo per animali.
In sospeso, il vino e i liquori, sui quali sono in corso negoziati. Farmaci e i semiconduttori “al momento sono soggetti a zero dazi” e, quando gli Stati Uniti trarranno le conclusioni dalle indagini in corso, ai sensi della Sezione 232 del Trade Expansion Act del 1962, “la linea tracciata” è comunque quella del 15%. Alla luce dell'intesa, le contromisure della Ue dovrebbero essere sospese dal 4 agosto, tenendo presente però “che ci sono” e “se ce ne fosse bisogno, potremmo sempre ripristinarle”.
Rai News 24